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Quando le correlazioni vanno oltre: le patatine fritte e la calvizie

Da tempo circolano articoli che riabilitano le patatine fritte in quanto “terapia contro l’alopecia”.

“Studi scientifici dimostrano che le patatine fritte curano la calvizie!”

Così titolavano molti articoli all’indomani della pubblicazione sulla rivista Biomaterials di questo studio giapponese effettuato presso la Yokohama University, nel 2018 (con risonanza fino ad oggi). In alcuni casi, l’invito a rivalutare le patatine non più come un piacere da concedersi solo una volta ogni tanto non era nemmeno tanto sibillino…

Cosa c’è di vero?

Soltanto la molecola utilizzata come substrato di coltura dei germi del follicolo pilifero: il dimetilpolisilossano, un silicone permeabile all’ossigeno ad azione antischiumogena e dai vari utilizzi in ambito farmacologico e alimentare. L’azione antischiuma viene sfruttata presso alcune catene di fast food nella frittura, per prevenire la formazione di bolle e schizzi d’olio. Da qui il malsano invito ad abbuffarsi di patatine.

il dimetilpolisilossano negli oli da frittura
il dimetilpolisilossano è anche usato come additivo negli oli da frittura

Ma gli autori dello studio non hanno mai fatto menzione di questo particolare, e in seguito hanno dovuto anche deludere le speranze di chi chiedeva spiegazioni ingolosito dalle notizie circolanti.

Cosa dice lo studio

Lo studio si è mosso nel promettente ambito della rigenerazione dei follicoli piliferi, i piccoli alveoli epidermici da cui ha origine il pelo, affrontando in particolare la parte più ostica: la produzione su larga scala dei germi dei follicoli, la loro fonte riproduttiva.

Bisognava scegliere un substrato di coltura adatto, e la scelta è caduta sul dimetilpolisilossano, che consente un buon approvvigionamento di ossigeno attraverso il substrato, aspetto cruciale sia per la formazione dei germi, sia per la crescita dei peli. Su tale substrato è stata seminata una sospensione di cellule epiteliali e connettive umane e di topo. La genesi del follicolo pilifero, infatti, è innescata da interazioni reciproche tra gli stati epiteliali e connettivi.

Il gruppo di ricerca è riuscito a far riprodurre in contemporanea fino a 5000 germi, che, una volta incapsulati in un idrogel e trapiantati su dorso di topo, hanno dato il via alla normale ricrescita pilifera. Dal momento che la produzione odierna si è limitata a un massimo di 50 germi a volta, gli autori si augurano di aver introdotto un miglioramento nelle attuali strategie di rigenerazione dei capelli, anche se per la sperimentazione sull’uomo saranno necessari verosimilmente altri cinque anni. Un risultato che è comunque incoraggiante per chi soffre di alopecia.

Le correlazioni sbagliate

Il dimetilpolisilossano è stato usato in forma pura per costituire substrati su cui far riprodurre i germi dei follicoli; non si capisce, quindi, in che modo mangiare patatine fritte possa far giungere questa molecola a livello del cuoio capelluto e nelle giuste quantità, e soprattutto come possa innescare il processo di rigenerazione pilifera, processo che, lo ricordiamo, è stato generato in laboratorio con l’uso di sospensioni tarate e in condizioni controllate. Ma ammettiamo che esista una maniera miracolosa per far andare le cose in questo modo, quanti chili di patatine dovremmo mangiare per ottenere la quantità di substrato necessaria? E a che prezzo, considerati i moniti relativi all’eccessivo consumo di frittura che piovono da ogni dove?

Il meccanismo che si cela dietro a queste correlazioni errate è ormai consolidato: viene pubblicato uno studio con risultati incoraggianti su di una molecola sperimentata in vitro (cioè su cellule o tessuti, magari nemmeno su organismi viventi) e il web si scatena. Di solito gli autori delle ricerche in laboratorio si guardano bene dal fornire risultati definitivi, in quanto coscienti del fatto che la sperimentazione deve avere un seguito significativo per poter essere accolta dalla comunità scientifica. Per il web è il contrario; si va a vedere se esiste un alimento che contiene la molecola studiata (nel caso specifico le patatine fritte, nemmeno citate nell’abstract dell’articolo perché il dimetilpolisilossano ha anche altri utilizzi) et voilà, la correlazione è servita!

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