
Più gatti che persone: due isole giapponesi a confronto.
Gli amanti dei cani potrebbero sostenere che il concetto stesso di gatto domestico è un’ossimoro, che i felini mostrano solo un superficiale attaccamento ai loro presunti padroni, mentre i conviventi i canini possono essere fedeli appunto fino…all’accanimento. La recente ricerca scientifica sembrerebbe tuttavia indicare che i gatti sono in effetti diventati domestici.
Il passaggio del gatto da cacciatore selvatico a essere morbidamente acciambellato in grembo agli umani è andato di pari passo con lo sviluppo dell’agricoltura nel Medio Oriente. È stato Infatti solo con la creazione dei depositi di grano, luogo d’elezione per i roditori, che gatti cominciarono ad avventurarsi negli insediamenti umani. Tollerati come efficienti killer degli animali nocivi, essi cominciarono a penetrare via via negli ecosistemi agricoli emergenti delle odierne Giordania, Siria e della regione della Palestina intorno al 1000 – 8000 a. C. Il contributo del gatto era così apprezzato nell’Antico Egitto, altra importante culla della civiltà agricola, che esso era oggetto di venerazione religiosa. Questo portò anche all’allevamento di gatti specificamente pensati per la mummificazione e la sepoltura, perché accompagnassero solo gli egiziani più ricchi nelle loro tombe sontuose e presumibilmente nell’aldilà.
Per la loro utilità contro i topi vennero accolti a bordo delle navi fenicie, che trasportarono la specie dal Mediterraneo orientale all’Europa occidentale. Adottati con entusiasmo dai Romani, che in seguito li portarono in India e molto probabilmente anche in Cina e Giappone, i gatti accompagnarono i commercianti dell’impero sulla via della seta e delle Spezie dall’Europa all’Asia. In Cina e Giappone il gatto si guadagnò da vivere proteggendo i bozzoli del baco da seta dalle indesiderate attenzioni di topi e altri parassiti. Come tale, l’animale godeva di uno status privilegiato in quelle società, soprattutto in Giappone, tanto da divenirvi domestico (in maniera molto inusuale) molto prima del cane.

Tashirojima
I cani sono assenti, e la cosa non passa inosservata, a Tashirojima, una piccola isola a un’ora di traghetto da Ishinomaki, nella prefettura di Miyagi, nel Giappone orientale. Sull’isola gli esseri umani sono una minoranza: l’attuale popolazione, prevalentemente anziana, ammonta a un centinaio di persone, la maggior parte delle quali dedita alla pesca.
Si stima invece che il numero di gatti sia almeno quattro volte tanto. Queste creature semiselvatiche non solo dominano il luogo ma vi hanno un proprio santuario.

Ogni loro bisogno è soddisfatto dai residenti dell’isola, che ritengono portino fortuna e li abbiano salvati dalla distruzione dello tsunami seguito al terremoto di Tohoku nel 2011.
Durante il periodo Edo (1603 – 1868) a Tashirojima la produzione di seta e tessuti rivaleggiava con la pesca e i gatti di oggi sono i discendenti diretti dei cacciatori di topi introdotti in quel periodo. Ma con l’affermarsi di fibre sintetiche di qualità e l’evolvere della moda che portò all’abbandono del tradizionale kimono per abiti di foggia più occidentale, negli anni ‘70 la sericoltura vide il definitivo tramonto in tutto il Giappone. Ciò rappresentò un duro colpo per l’economia dell’isola e il numero dei suoi abitanti bipedi diminuì di conseguenza. Nell’ultimo decennio tuttavia questa terra è entrata tra le mete turistiche più gettonate grazie proprio ai suoi felini: gli “ailurofili” accorrono da tutto il mondo per vedere “l’isola dei gatti” e alloggiare in uno degli Chalet a tema felino che possono essere affittati nei mesi estivi. Oltre a fotografare i “famosi” gatti, chi arriva sull’isola di Tashirojima può visitare i pochi ma originali monumenti presi sull’isola.

Tra i villaggi di Odomari e di Nitoda c’è un piccolo tempio costruito in omaggio ad un felino morto accidentalmente, mente in tutto il territorio si trovano numerose costruzioni a forma di gatti, proprio per celebrare gli abitanti a quattro zampe che affollano ogni angolo da quell’isola che, i media, hanno soprannominato “Cat Island”. Un’isola che ha attratto numerosi artisti manga: Shotaro Ishinomori, Tetsuya Chiba, Naomi Kimura hanno realizzato qui le loro opere, oggi amate soprattutto dagli Instagrammers.

Aoshima
La piccolissima e sperduta isola di Aoshima, nella prefettura di Ehime, nel sud del Giappone, lunga poco più di un chilometro, è il paradiso terrestre di una numerosa colonia di felini: fa parte di un gruppo di circa una dozzina di “isole dei gatti”, piccoli luoghi dove ci sono più residenti felini che umani. Più di un centinaio di gatti si aggirano per l’isola (circa 120), padroni delle case abbandonate, e anche del tranquillo villaggio di pescatori, invaso dai felini, che superano gli umani in un rapporto di sei a uno.
Originariamente introdotti sull’isola per dare la caccia ai topi che infestavano le barche dei pescatori, i gatti sono rimasti e si sono moltiplicati. Gli esseri umani che ora vivono sull’isola sono invece pochissimi: dei circa 900 residenti presenti nel 1945, ne sono rimasti meno di una ventina, per lo più pensionati che non si sono uniti alle ondate di migranti in cerca di lavoro nelle città della terraferma, dopo la seconda guerra mondiale.

Recentemente i gatti della piccola Aoshima sono diventati molto popolari sul web, e grazie a questo l’isola ha visto un forte aumento di visite turistiche, forse non troppo gradite alla manciata di residenti, che preferiscono il loro tranquillo isolamento.
L’unico segno di attività umana oggi è la barca di turisti che ogni giorno giunge ad Aoshima per visitare quella che è conosciuta localmente come “neko shima”, “Isola dei Gatti”.

I gatti di Aoshima non sono troppo esigenti, sopravvivono con onigiri (polpette di riso), barrette energetiche o patate che portano i turisti.
In assenza di predatori naturali, si aggirano sull’isola come veri dominatori.

Sparse lungo tutto l’arcipelago del Giappone possiamo contare altre 11 minuscole isolette a misura di gatto, che hanno in comune l’assenza di cani (ovvio), turisti appassionati e specializzati consapevoli di doversi spostare esclusivamente a piedi e di raggiungere questi paradisi via traghetto, pochi e devoti umani che si prendono cura degli ospiti pelosi e, soprattutto, felini, felini, felini dappertutto e in libertà a farla da assoluti padroni.
La raccomandazione, se si vuole visitare luoghi così raccolti e non votati all’accoglienza turistica, è di comportarsi come ospiti educati che non vogliono disturbare: salutare discretamente, chinarsi gentilmente, cercare di recare il minore disturbo possibile e non invadere la privacy degli abitanti del luogo per cercare lo scatto rubato del secolo.
Ovunque si vada si è ospiti a casa d’altri, e in piccoli angoli di mondo come questi ancora di più ci si deve sforzare di non imporre la propria presenza ma ringraziare per l’accoglienza, cercando di lasciare una buona impressione.

Fonte: www.siviaggia.it
Www.focus.it
Travis Elborough “Atlante dei luoghi inaspettati – scoperte inattese, città misteriose e leggendarie, mete improbabili”. Ed. Rizzoli.

