
DAT, dichiarazione di dignità
Normalmente chi scrive un articolo tende a rimanere distaccato e a descrivere i fatti riferiti ad altre persone, luoghi, eventi, ma per me questo argomento trova un riscontro davvero molto personale in quanto mi sono trovata, insieme con la mia famiglia, ad affrontare la questione eutanasia – o comunque volontà di fine vita – per due volte. Sono stati due casi diversi ma che hanno colpito due persone ancora giovani, 60 mio papà e 65 anni mia mamma. Il dibattito è avvenuto a distanza di pochi anni, con la differenza che nel secondo caso, il Parlamento italiano aveva appena approvato il DAT, cioè la dichiarazione anticipata di trattamento o testamento biologico.
Vediamo bene di cosa si tratta, soprattutto perché vorrei fare chiarezza sull’importanza di un DAT e del suo riconoscimento legale. Prima di procedere con un po’ di recentissima storia, bisogna precisare che il testamento biologico non è assimilabile all’eutanasia e quest’ultimo argomento non è oggetto di questo breve articolo.
Il DAT (dichiarazione anticipata di trattamento), comunemente chiamato testamento biologico, è il riconoscimento del valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di direttive anticipate di fine vita qualora la persona sottoscrivente si dovesse trovare nell’impossibilità di decidere in merito alle cure ricevute e sancisce il diritto di ogni individuo di disporre liberamente della propria esistenza.
Le prime proposte di legge risalgono al lontano 1999, quanto 16 Deputati presentarono un testo in merito a “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Il 29/6/2000 fu presentato da 3 Senatori dei Verdi un disegno di legge sullo stesso tema ma la settimana successiva gli stessi Senatori proposero un altro disegno di legge sulla promozione delle terapie antalgiche. L’8 febbraio 2001 fu finalmente promulgata una legge sulla materia.
A queste prime proposte, ne seguirono altre e cominciò un vero e proprio dibattito politico durato fino a fine 2016: il dibattito portò alla legge 219/2017 del 14 dicembre 2017. La legge fissa i principi di base per garantire a tutti l’effettiva libertà di scelta terapeutica tutelata dall’art. 32 della Costituzione, che include logicamente anche la scelta di non essere sottoposti ad alcun trattamento.

Il fulcro di questa legge è il cosiddetto consenso informato, il quale deve necessariamente essere acquisito dai sanitari prima di intraprendere qualunque azione. La nutrizione e l’idratazione artificiale sono considerate terapie a tutti gli effetti perché somministrate mediante dispositivi medici, e pertanto possono essere rifiutate dal paziente. La sofferenza del paziente deve essere alleviata con cure palliative e terapie del dolore. Particolare rilevanza assume la figura del fiduciario, persona designata dal paziente all’interno della sua DAT e deputata a vigilare sul rispetto delle volontà del paziente. Come si presenta un DAT? Ci sono tre modalità:
- atto pubblico notarile
- scrittura privata autenticata da un notaio o da un pubblico ufficiale
- scrittura privata semplice depositata presso l’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza
Ho redatto il mio DAT quasi sull’onda di quanto successo ai miei genitori: un’esperienza del genere fa riflettere anche il più cinico dei cinici. Nella mia famiglia il dialogo è stato al centro della nostra educazione e si è sempre parlato di argomenti etici e morali anche scottanti. Mio padre, morto nel 2015 a causa di un cancro, cattolico e testardo, era per un approccio più rivolto verso il prolungarsi, anche un po’ estremo, delle cure al fine di tentare di tutto per salvarsi la vita.
Mia madre, morta a causa di patologie multiple nel 2018, cioè quando la legge era già in vigore, ha espresso un rifiuto a quelle cure che, statisticamente, l’avrebbero portata comunque a una morte lenta e con sofferenza. Siamo tre sorelle e non abbiamo fatto altro che rispettare le volontà di una persona lucida e vi assicuro che tre teste avevano tre pensieri diversi.
Questo mi fa pensare che l’importante non sia che il legislatore la pensi esattamente come il cittadino su quest’argomento (e su tanti altri temi etici) ma che renda sovrano il cittadino di decidere per se stesso, nella dignità dell’ultimo atto che è in grado di sostenere liberamente.

