
Le affascinanti prospettive (e i limiti) dell’esobiologia
“Io credo sia nostro dovere creare un futuro sicuro per i nostri figli, per realizzare una promessa fatta alcuni decenni fa dallo Sputnik 1 e dal Mariner 2 di aprire una porta sull’universo a quegli intrepidi esploratori che vengono dalla Terra”. Carl Sagan (Torinoscienza.it)
Guardare oltre il nostro cielo alla ricerca di altri pianeti e di altre forme di vita intelligente non è esclusiva prerogativa del nostro tempo.
Stando ad alcuni manufatti preistorici con quelle che si ritengono primordiali annotazioni astronomiche, l’uomo iniziò a osservare il cielo con interesse addirittura 15 mila anni fa. In seguito, l’osservazione astronomica divenne di primaria importanza presso le civiltà antiche, in quanto si riteneva che il cielo fosse lo specchio della Terra, e quindi in grado di fornire informazioni sul futuro.
Fu in Grecia, però, che l’interesse nei confronti dello spazio iniziò ad affrancarsi da una concezione prettamente astrologica: i filosofi e astronomi greci si porsero domande riguardo le dimensioni dell’universo, le distanze fra gli astri, perfino l’esistenza di eventuali forme di vita extraterrestri. Anassagora, infatti, fu il primo predicatore della presenza di vita sulla Luna, Leucippo e Democrito dell’esistenza di più mondi simili al nostro, Epicuro si spinse a ipotizzare alieni non-umanoidi, mentre Platone e Aristotele contrastarono queste idee. Sul versante romano, già nel primo secolo dopo Cristo, Lucrezio esprimeva nel suo De Rerum Natura la certezza che esistessero altri mondi popolati di altrettante creature.
Durante il MedioEvo l’idea di altri mondi all’infuori di quello creato da Dio non era accolta di buon grado dalla Chiesa, che nel 1600 giustiziò Giordano Bruno, reo, tra le altre cose di aver predicato l’esistenza di altri Soli e altre Terre. Nel frattempo Galileo osservò per la prima volta la superficie frastagliata della Luna, mentre il collega Keplero si convinse che sotto quelle montagne e quei crateri vivesse una popolazione aliena che si rifugiava dalla calura.
Da quel giorno, i Lunariani furono sulla bocca di tutti. William Herschel, lo scopritore di Urano, era un sostenitore della pluralità dei mondi e arrivò perfino a catalogare i centri abitativi lunari; altri scorsero canali, campi coltivati e strade percorse dal traffico.
Dopo la Luna fu la volta di Venere; infine il reverendo Thomas Dick “calcolò” che nel Sistema Solare vivessero 22 trilioni di alieni (di cui quattro miliardi sulla Luna!). In questo clima, nel 1835 attecchì una delle prime bufale giornalistiche, in cui il presunto segretario del figlio di Herschel metteva al corrente il mondo di una scoperta sensazionale: sulla Luna vivevano degli uomini-pipistrello, una civiltà evoluta con strutture architettoniche ricoperte d’oro e di pietre preziose.
L’astronomo francese Camille Flammarion non si limitò a far notare che non possiamo considerare unica la vita sulla Terra, ma si spinse a sostenere che gli abitanti degli esopianeti fossero le incarnazioni degli uomini vissuti sulla Terra. In mezzo alle speculazioni creative degli astronomi, Jules Verne trovò terreno fecondo per le sue storie fantascientifiche.
Alle soglie della Seconda guerra mondiale, il tedesco Desiderius Papp immaginò che la vita sulla Luna, una volta fiorente, si fosse esaurita, ma che qualche residuo sopravvivesse in attesa di una ripresa. Più avanti nel tempo iniziò a serpeggiare la convinzione che in realtà gli alieni fossero già passati da noi, lasciando tracce occulte.

C’è vita oltre a noi, nell’Universo?
Questa domanda appassiona da sempre l’uomo e anima le ricerche degli scienziati. Non soltanto per l’ancestrale curiosità di capire da dove veniamo e se siamo soli nell’universo, ma anche per trovare nuovi spazi da colonizzare in caso che la Terra, in un futuro, dovesse diventare inospitale. Attualmente si ritiene molto improbabile che in un universo popolato da miliardi di stelle non esista un sistema che ospiti strutture biologiche. Questo non significa necessariamente un futuro incontro con forme di vita intelligenti, che era ed è visto con scetticismo da molti scienziati (Fermi e Hawking compresi) per motivazioni temporali e spaziali (date le enormi distanze che separano gli astri), ma sono ormai migliaia i possibili candidati extrasolari e le molecole organiche (soprattutto aminoacidi) rinvenute nei corpi celesti come comete e asteroidi. All’interno del sistema solare, alcuni pianeti (per esempio Marte) e satelliti (per esempio Europa, luna di Giove) vengono scandagliati alla ricerca di molecole organiche. Questo tipo di ricerca però non emoziona il grande pubblico, più interessato all’esistenza di organismi complessi e intelligenti, ma è forse più importante.

Su Encelado si formano aminoacidi?
Recentemente anche una luna di Saturno, Encelado, ha fornito risultati incoraggianti. Grazie alle analisi della sonda Cassini (che ha terminato il suo viaggio nel 2017), gli scienziati della NASA hanno raccolto dati a proposito della presenza, nella crosta ghiacciata del satellite, di molecole organiche con ossigeno e azoto che potrebbero costituire le basi degli aminoacidi (i componenti delle proteine). Le analisi sono state condotte grazie a uno spettrometro (il quale decompone e misura le varie lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica) che ha rilevato molecole organiche in fase gassosa, e ad un analizzatore di polvere cosmica che ha individuato composti ad alta massa (comprendenti atomi di azoto e ossigeno) in una frazione di granelli di ghiaccio. Si pensa che gli atomi di azoto e ossigeno possano far parte di ammine a basso peso molecolare (metilammina, etilammina) e carbonili. Le concentrazioni nelle singole particelle di ghiaccio sono molto variabili, ma possono raggiungere livelli interessanti.
In particolare queste molecole sono state individuate in un pennacchio di materiale gassoso e granulare (i granelli di ghiaccio) espulso nello spazio da una zona situata presso il polo sud del satellite. Questo materiale proviene dall’oceano sottostante, che è probabilmente in contatto con un nucleo roccioso ad attività idrotermale, e attraversa le fessure presenti sulla calotta ghiacciata per poi finire nello spazio. L’attività idrotermale è stata ipotizzata sulla base del ritrovamento di particelle di silice nell’anello più esterno di Saturno (oltre che di idrogeno molecolare e di metano).
Già l’anno scorso si erano rinvenute discrete concentrazioni di grosse molecole organiche sulla superficie idrica sottostante la crosta ghiacciata di Encelado. Queste molecole erano però considerate insolubili, caratteristica inadatta alla vita come la conosciamo.
Il nuovo materiale organico sarebbe invece disciolto nell’oceano, da cui poi evapora e viene successivamente inglobato in granelli di ghiaccio. Si ipotizza che tali composti (ammine, carbonili e altri gruppi funzionali) siano idonei substrati per alcune reazioni chimiche catalizzate dal calore delle profondità oceaniche di Encelado, reazioni che potrebbero dar luogo a veri aminoacidi. La sintesi di aminoacidi a partire da composti carbonilici o aminici in condizioni di idrotermia è attestata da alcune simulazioni in laboratorio, ma anche da reazioni reali che avvengono in campi idrotermali subacquei sul nostro pianeta (per esempio a Lost City, un’area di strutture calcaree che emettono fluidi idrotermici situata nelle profondità dell’Atlantico, è stato trovato del triptofano). Le condizioni ambientali, tra cui il pH alcalino e la presenza di minerali argillosi con ferro e solfuro, sono più o meno simili. Tale sintesi rimane comunque un’ipotesi, dal momento che ancora nessun composto aminoacidico è stato rinvenuto su Encelado.

Ad ogni modo, la somiglianza tra gli ambienti idrotermali di Encelado con quelli terrestri, dove la vita potrebbe essersi originata senza luce solare, induce a verificare ulteriormente l’abitabilità di Encelado tramite missioni specifiche.
I Nobel per la fisica
L’assegnazione dei Premi Nobel per la fisica di quest’anno esprime l’interesse sempre vivo nella ricerca cosmologica. Oltre a Peebles, scienziato della radiazione cosmica di fondo, sono stati premiati Michel Mayor e Didier Queloz per la loro scoperta, nel 1955, del primo esopianeta in un sistema stellare molto simile al nostro. Non si tratta di un pianeta di interesse esobiologico, poiché orbitando troppo vicino alla sua stella possiede una temperatura superficiale di circa mille gradi centigradi, ma la sua scoperta sancì l’inizio di una ricerca sempre più accurata di pianeti simili alla Terra, con condizioni fisiche adatte a ospitare vita. Mayor lascia ora la staffetta nelle mani dei nuovi astrofisici, con il compito di verificare la presenza o meno di tracce biologiche.
Allo stesso tempo, però, si premura di smorzare gli entusiasmi relativi alla futura colonizzazione di esopianeti. Troppo lontani per essere raggiunti con l’odierna tecnologia. Si parla di viaggi nell’ordine di milioni di anni, anche nel caso di pianeti distanti poche decine di anni luce. Meglio fare il possibile per “prenderci cura del nostro pianeta. È molto bello e ancora assolutamente vivibile”.
Low-mass nitrogen-, oxygen-bearing, and aromatic compounds in Enceladean ice grains
Hack M., Domenici V., C’è qualcuno là fuori? Sperling & Kupfer
Wired-Non colonizzeremo mai un esopianeta, parola del Nobel per la fisica

