
È vero che il digitale ti de-focalizza?
“La bambina stava abbracciando sua madre con tutte le sue forze. La donna, però, era talmente immersa nel suo iPad che non sembrava neppure accorgersi della figlia, la cui testa le arrivava appena alla vita. Qualche minuto più tardi, mentre ero su un taxi con nove ragazze di un’associazione studentesca, mi si presentò una scena simile: dopo aver preso posto, si misero tutte a controllare il loro iPhone o tablet, scambiando solo qualche sporadica parola mentre, perlopiù in silenzio, scrivevano messaggi o controllavano i propri account di Facebook” racconta Daniel Goleman nel suo libro Focus, dedicato all’attenzione e alla concentrazione.
Capita spesso di vedere persone (bambini, adolescenti e adulti) completamente persi nel proprio dispositivo e inconsapevoli dell’ambiente intorno a loro. Anche la loro visione periferica è limitata e, finché non li chiamiamo per nome, non ci notano. Una volta ci si sentiva infastiditi quando qualcuno del gruppo tirava fuori il telefono e si metteva a messaggiare o rispondeva a una chiamata: oggi invece è diventata la norma, e vedere i nostri interlocutori chini sui propri dispositivi o impegnati in conversazioni online non suscita più alcuna sensazione sgradevole. A volte, soprattutto per quanto riguarda i giovani e chi è abituato a lavorare con la tecnologia, si ha l’impressione che siano più sintonizzati con i dispositivi tecnologici e meno con le persone in carne ed ossa intorno a loro.

Sempre da Focus il racconto di un’insegnante che, durante la sua lunga carriera, ha sempre fatto leggere ai suoi studenti lo stesso libro, da loro molto apprezzato. Durante gli ultimi anni, però, la donna ha notato un calo di attenzione e di apprezzamento nei confronti del libro: i ragazzi non se ne appassionavano più e sostenevano che la scrittura era troppo complicata e la lettura era lunga e difficoltosa.
Il digitale viene spesso considerato un’attività spegni-cervello a scapito della concentrazione necessaria per le cose importanti: seguire una conversazione, leggere le pagine di un libro, assimilare delle nozioni, portare a termine un compito, creare qualcosa. Ovviamente c’è chi ha imparato a integrare in modo profittevole la tecnologia con il reale, e continua a mantenere proficue relazioni con chi ha intorno e a concentrarsi efficacemente sui propri compiti. Alcune competenze cognitive, inoltre, sono migliorate da talune attività digitali (per esempio giochi che sviluppano l’attenzione su oggetti in movimento, ecc.). Ma d’altro canto la distrazione indotta dal digitale è un problema non indifferente.
Molte persone impegnate in vari ambiti (scolastico, lavorativo, politico ecc.) si lamentano del fatto che una qualsiasi presentazione o discorso che si prepari per una platea debba essere più breve rispetto al passato, altrimenti il pubblico si annoia, perde la concentrazione e la riversa sul proprio smartphone. Molti percepiscono l’imperante impulso di interrompere quello che stanno facendo e controllare le notifiche. Il segnale stesso della notifica è diventato più forte di qualsiasi altra cosa, perfino del lavoro.

Per ridurre questo problema di defocalizzazione, alcune aziende vietano l’uso di tablet e telefoni durante le riunioni, oppure disattivano direttamente il Wi-Fi.
Rispetto al passato, è cresciuto il consumo di integratori e di prescrizioni di farmaci per aumentare la concentrazione. Certo questo è anche dovuto al fatto che finalmente si riconoscono alcune problematiche che nel passato venivano attribuite a pigrizia, svogliatezza o scarsa intelligenza, come l’ADHD o altri deficit dell’attenzione dovuti a caratteristiche intrinseche.
Ma già nel 1977 il premio Nobel per l’economia Herbert Simon aveva previsto una crescente saturazione di informazioni (infodemia) in un prossimo futuro, che avrebbe prodotto una deconcentrazione globale.
“Una ricchezza di informazioni produce una povertà di attenzione”.
Sono soprattutto i contenuti ad alto potere emozionale i più pericolosi, come i post che provocano indignazione, rabbia, tenerezza o allegria. Ne abbiamo parlato anche in occasione del Doomscrolling. Ma comunque il solo bombardamento di migliaia di stimoli diversi (video, musica, immagini, post, messaggi ecc.) inficia l’immersione in un compito e il mantenimento dell’attenzione, obbligandoci a rimbalzare da qui a là cogliendo mille cose senza connessione fra loro.
Daniel Goleman spiega che la nostra attenzione non è come un pallone che si può gonfiare per accogliere più cose e diventare multitasking, ma è più simile a un tubo, a un collo di bottiglia. Perciò, per aumentare l’attenzione bisogna ripulire il tubo dalle potenziali distrazioni.
Nei nostri laboratori proviamo a ricanalizzare l’attenzione tramite l’arte manuale: un’attività con molti risvolti positivi, tra cui quello di ri-focalizzare la concentrazione.

